Il Licantropo di Huddleston – Epilogo

Lupo ulula a luna piena

ATTENZIONE: QUELLA CHE STAI PER LEGGERE È LA SOLUZIONE DEL CASO. SE DEVI ANCORA RISPONDERE ALLE DOMANDE, NON CONTINUARE!


Ci siamo: tutti i sospettati sono in fila davanti a voi, pronti ad essere sottoposti al giudizio finale. Credi di aver capito chi è che dovrà pagare per i crimini commessi ma vuoi aspettare che qualcun altro si faccia avanti per avere conferma delle tue supposizioni. Non devi aspettare molto prima che la tua richiesta venga esaudita: un ragazzo alto e gracilino si erge dalla folla degli investigatori, pronunciando la sua accusa con parole roboanti.

“Mi sembra ovvio chi sia il colpevole!” esclama, il dito puntato contro John Murphy, “Angus l’ha accusato pubblicamente quindi è sicuramente lui il responsabile della seconda aggressione! Inoltre, l’uomo non aveva difficoltà a sgattaiolare fuori dall’hotel prima delle 21:00, cioè l’orario dell’omicidio di William Moore. Credo che si sia fatto aiutare da Archie Thomson, il lobby boy, che è infatti l’unico tra i sospettati che gli fornisce un alibi e che avrebbe anche potuto dargli le chiavi dell’hotel! Devono essere due sadici, non c’è altra spiegazione!”.

“No, vi prego, non sono stato io!” prorompe John, “forse non ho detto tutta la verità ma… oh non potete capire… vi scongiuro, è tutto un equivoco! Archie, ti prego, digli la verità!”. Alla richiesta di John, il minuto ragazzo apre la bocca per parlare, ma non fa in tempo a iniziare che viene interrotto da un’altra voce: la tua.

“Sono innocenti”.

Il ragazzo che ha formulato l’accusa ti guarda, in evidente atteggiamento di sfida. “Ah sì? E se non sono loro, chi allora?” provi a rispondere ma proprio in quel momento il portone dell’hotel si spalanca, rivelando una scena che lascia tutti senza fiato.

In piedi di fronte all’ingresso dell’albergo c’è un uomo alto, di corporatura massiccia e con lunghi capelli neri che gli ricadono sulle grandi spalle. È ricoperto di fango e sangue da capo a piedi e i suoi vestiti sono completamente laceri. Il suo volto, carico d’odio, sta fissando gli otto accusati in fila davanti alla reception.

“William!!!” la signora Moore lascia la sua posizione e si getta tra le braccia del marito, “non posso crederci, sei vivo! Oh amore mio, non puoi capire quanta paura ho avuto. Temevo di averti perso per sempre”.

L’uomo non risponde. Accarezza la moglie sui capelli con un misto di affetto e meccanicità. Poi, dopo un silenzio che pare interminabile, si scaglia contro Gordon MacDonald, spintonandolo violentemente contro il bancone.

“Brutti porci schifosi! Pensavate di potermi fare fuori eh? Beh per vostra sfortuna sono ancora difficile da togliere di mezzo e posso assicurarvi che ne pagherete le conseguenze! E tu dove credi di andare, Jack?!?” William lascia andare Gordon e si lancia all’inseguimento di Markus, che si stava allontanando di soppiatto, “vi faccio fuori entrambi brutti vermi, è una promessa!”.

Dopo un po’ di parapiglia e con l’intervento di tutti i tuoi colleghi riuscite a separare gli uomini e a calmare William, che ora siede tremante su una poltrona. Per qualche lungo istante rimane a capo chino, riflettendo sulle parole da dire, per poi iniziare il lungo racconto delle sue vicende.

“Io non mi chiamo William Moore. Il mio vero nome è Trevor Finnegan e un tempo avevo una vita completamente diversa da quella che di adesso. Circa 15 anni fa facevo parte di una gang criminale chiamata The Animals, che per molto tempo ha terrorizzato il midwest degli Stati Uniti d’America. Ci facevamo chiamare così perché ognuno di noi aveva il soprannome di un animale. Jack ‘The Fox’ Campbell, agile di mano e di testa; Eddie ‘The Pig’ Phillips, insaziabile tanto di denaro quanto di cibo e alcool; e infine io, Trevor ‘The Bull’ Finnegan, chiamato così per il mio carattere impulsivo e irascibile”.

“Io non konosko kuest’uomo ja! Lui dice un mukkio di sciokkezze per inkastrarmi!”, “smettila Jack! Ormai la recita è finita e se devo essere onesto, il tuo travestimento si nota lontano un miglio. Capelli e baffi sono chiaramente tinti e il tuo accento tedesco è terribile! E poi, com’è che ti fai chiamare? Dekker? non sei più sveglio come un tempo, non è neanche un cognome di origine tedesca, è olandese!”.

“A ogni modo, a un certo punto mi sono stancato di quella vita fatta di rapine e omicidi e ho deciso di cambiare. Mi vergogno di non aver pagato il mio debito con la giustizia e i ricordi delle mie azioni tutt’oggi mi tormentano in sogno ma non potevo permettermi di finire al fresco. Quindi me ne sono andato, prendendomi la mia parte del bottino accumulato durante gli anni di scorribande”, “non è vero!” interviene Gordon, il tono della voce molto meno gentile e accomodante di quello che ti eri abituato a sentire, “ti sei preso praticamente tutto! Non ci hai lasciato niente!” Markus guarda l’uomo con aria sconsolata, mettendosi una mano sulla fronte.

“Pochi mesi dopo ho conosciuto Nora” continua William, ignorando completamente Gordon, “ci siamo sposati e non ho avuto più rapporti con questi due… almeno fino a oggi”.

“Li ho riconosciuti appena sono entrato in hotel. Jack soggiornava nella camera di fronte alla mia, probabilmente per tenermi meglio d’occhio. Ho pensato subito di andarmene ma sarebbe sembrato troppo strano e non volevo che mia moglie sospettasse di nulla. Ho deciso allora di trascorrere meno tempo possibile all’interno dell’albergo: i due dovevano avere necessariamente un complice all’interno dell’hotel e sarebbe stato facile per loro isolarmi in una delle stanze e farmi fuori, facendolo passare per un incidente. Credo anche di sapere chi è il loro contatto qua dentro. Giusto, signor MacGartie?”.

Fingall, che fino a quel momento era stato in silenzio in un angolo, sbianca improvvisamente. Dopo qualche secondo, cercando di apparire sicuro di sé, inizia a farfugliare parole scomposte. “No, ma che dite… io non c’entro nulla ah ah… Non conosco questi due signori, cioè sì, ma come ospiti…”, “la smetta!” lo interrompe William, i duri lineamenti del volto nuovamente contratti dalla rabbia, “sono convinto che ti hanno pagato fior di sterline! Come siete riusciti a superare i controlli alla dogana per portargli i soldi, eh? Scommetto che erano all’interno di quella stupida cornamusa che fai finta di saper suonare!”. L’espressione di panico sul volto di Gordon ti dice che il signor Moore, o meglio il signor Finnegan, ha centrato nel segno.

“Immagino che sia inutile continuare a fingere”. Ti chiedi a chi appartenga quella voce, per te totalmente nuova, e hai un moto di stupore quando capisci che a parlare è Markus, l’accento teutonico completamente svanito, “ebbene sì: il mio vero nome è Jack Campbell. Ho commesso azioni efferate ma non mi sono mai macchiato del crimine più terribile che un uomo possa compiere: il tradimento”.

“Quando ho scoperto la nuova identità di Trevor e che sarebbe venuto in questo paese sperduto per festeggiare l’anniversario con la sua piccioncina non ho avuto bisogno di pensarci un attimo: era l’occasione perfetta per vendicarci di quel traditore schifoso. Ho fatto delle ricerche sulla cittadina di Huddleston e ho scoperto della leggenda del licantropo che aggredisce gli abitanti del villaggio una volta ogni trentatré anni, e indovinate un po’: Trevor sarebbe stato ospite qui proprio quella notte! Inoltre ho scoperto che in quei giorni, nello stesso albergo, si sarebbe tenuto un convegno di esperti di leggende e occultismo. Se fossimo riusciti a convincere loro che l’omicidio era opera di un licantropo, in molti ci avrebbero creduto: da queste parti si presta molta fede a questo genere di storie”.

“Mi sono messo in contatto con il proprietario dell’hotel, il signor MacGartie, raccontandogli il nostro piano. Non ho avuto bisogno di convincerlo perché appena gli ho detto che intendevamo ricambiare il suo ‘favore’ con 200.000 sterline ha subito accettato. Quindi io e Eddie ci siamo recati in questo posto il giorno prima dell’arrivo dei due sposini, abbiamo dato i soldi a Fingall e abbiamo finto che Eddie si fosse fatto male per non dover suonare la cornamusa di fronte agli altri ospiti… anche se ogni tanto quel deficiente ci provava lo stesso, rischiando di far saltare la copertura!”.

“La sera dell’aggressione eravamo preparatissimi. Io sono rimasto per tutto il tempo nella sala congressi, in attesa del momento di tagliare i fili del telefono, verso le ore 20:00. Ho anche ordinato una bistecca in camera per attirare Archie lontano da me. Ho tagliato i cavi con il mio rasoio mentre Gordon è andato in camera, ha indossato la pelliccia da lupo mannaro, le zanne e gli artigli finti che teneva nell’armadio ed è andato a completare l’opera. Era un piano perfetto, la moglie avrebbe confermato la versione del lupo mannaro e noi l’avremmo fatta franca… se solo qualcuno avesse fatto il suo dovere!”.

“Non è colpa sua, Jack”, interviene William, fissandolo negli occhi, “purtroppo per voi, sono ancora duro a morire. Sono rimasto svenuto fino a un’ora fa, ma non è riuscito a finirmi”. William si interrompe per qualche istante, distogliendo lo sguardo dall’ex compare e rivolgendolo verso il parquet, “tuttavia, devo dirti che il tuo piano non è stato un fallimento completo. È giunto il momento che io paghi il mio debito con la giustizia. Credo che in cella avremo tutti e tre il tempo di riflettere sulle nostre azioni”.

Sulla scena cala un silenzio surreale. Dopodiché i tre uomini, seguiti da un riluttante Fingall, vanno a sedersi su alcune sedie disposte di fronte al balcone della reception, aspettando il loro destino.

“Beh, tutto sembra risolto no?” esclama il ragazzo smilzo con aria visibilmente imbarazzata, “sembra che siamo riusciti ad assicurare i colpevoli alla giustizia!”.

Tuttavia manca ancora un tassello per completare il puzzle.


“Aspettate! Ma allora chi è il responsabile dell’aggressione ad Angus?” interviene un altro degli investigatori, “se non è stato nessuno di loro tre allora ci deve essere un ulteriore responsabile. Ma chi può esser…”.

Il tuo collega non fa in tempo a finire la frase che qualcosa di inaspettato accade. Catherine Brown, che fino a qualche secondo fa stava tranquillamente appoggiata al bancone della reception, si sta ora contorcendo sul pavimento, digrignando i denti e lanciando strazianti guaiti di dolore. Un raggio di luce lunare, nuovamente visibile nel cielo notturno, le investe il volto, rivelando lineamenti deformati da quella che sembra una terribile trasformazione.

“Fermatevi, ci penso io! Oh Catherine, resisti”. John Murphy, il medico accusato dell’aggressione di Angus, si fa largo tra la folla con la sua fidata valigetta, avvicinandosi alla ragazza in preda a spasmi sempre più potenti. La raggiunge, inserisce velocemente la combinazione ed estrae dal bagaglio una compressa biancastra, che prontamente inserisce nella bocca schiumante di Catherine. Dopo qualche interminabile secondo, la giovane si calma, rimanendo perfettamente immobile sul parquet dell’atrio. Accanto a lei giace la confezione che conteneva il medicinale, su cui leggi in maiuscolo la scritta ‘Haldol’.

“Ebbene sì, confesso” inizia il medico, il begli occhi verdi solcati da pesanti lacrime di dolore, “io conosco questa ragazza. O meglio, so chi è, dato che non l’avevo mai vista prima di qualche giorno fa. Lei è Catherine Brown, o forse dovrei chiamarla Catherine Murphy… visto che si tratta di mia figlia”.

“Diciassette anni fa, durante i miei primi anni da medico praticante, sono stato trasferito per qualche mese proprio in questa città, a Huddleston. Avevo poco più di trent’anni e non avevo ancora conosciuto l’amore… fino a che non incontrai lei, la madre di Catherine. La portarono nel mio ambulatorio dopo una brutta caduta da cavallo e me sono subito perdutamente innamorato. Tra me e lei è iniziata una travolgente storia d’amore e… so che non avrei dovuto, lei era sposata, e anche se il suo matrimonio con Fingall era tremendamente infelice non mi sarei dovuto intromettere nella loro relazione. Tuttavia ero ancora ingenuo e dopo qualche mese lei mi dette una notizia tanto splendida quanto terribile. Era rimasta incinta!”.

“Nascondere l’accaduto al marito era impossibile: Fingall è infertile e non poteva in alcun modo avere bambini. Decidemmo allora di prendere la situazione in mano e confessargli tutto: il nostro amore, la relazione, il figlio illegittimo. Eravamo decisi a stare insieme, io, lei e nostra figlia, ad ogni costo. Ma le cose andarono diversamente…”.

“Certo che andarono diversamente” Fingall è ora nuovamente in piedi, lo sguardo carico di rabbia rivolto verso John, “cosa pensavi, che avrei assecondato il vostro stupido capriccio, permettendovi di infangare il buon nome mio e della mia famiglia? No, lo sapete cosa ho fatto? L’ho costretto ad andarsene e a non far mai parola con nessuno di tutto ciò che era successo, altrimenti avrei detto a tutti che al signor medico qui piaceva farsela con le sue pazienti! E non me ne pento neanche per un secondo, tornassi indietro lo rifarei non una, ma cento volte!”.

Silenzio. Per qualche secondo nessuno dei presenti apre bocca, avvolgendo la scena in un’atmosfera surreale. Poi John, facendosi nuovamente coraggio, continua il racconto.

“E quindi me ne andai da Huddleston per mai più ritornare. Fui pavido, lo ammetto, ma il pensiero di vedere la mia carriera distrutta era per me insopportabile. Non credo che lei mi abbia mai condannato per questo: era un donna straordinaria e non era nel suo carattere provare rancore”.

“Ma qualche giorno fa la sperduta cittadina di Huddleston ha nuovamente incrociato la mia strada: nella mia cassetta delle lettere a Berwick Street, a Londra, ho trovato una lettera che mai mi sarei aspettato di ricevere. Un giovane di nome Archie Thomson mi aveva scritto per dirmi che mia figlia Catherine (sì, sapeva che io ero il vero padre) era in pericolo e che dovevo tornare per guarirla. Dalla descrizione dei sintomi, sembrava che fosse affetta da una patologia terribile: licantropia isterica”.

“Direi che da questo punto in avanti posso continuare io signor Murphy, se permette” Archie fa qualche passo in avanti e si posiziona al centro della hall, sotto gli sguardi attoniti di tutti i presenti, “d’altronde non ho niente di cui vergognarmi: tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per amore, e credo che lei più di chiunque altro possa capirmi”.

“Conosco Cath da quando ho memoria di esistere. Io e lei siamo sempre stati inseparabili e quando la mia povera madre morì ho deciso di rimanere a lavorare Ai Quattro Ceppi per poterle stare accanto. Non so se lei ricambi i miei sentimenti ma non mi interessa: Cath è tutta la mia vita e per me era un motivo più che sufficiente per restare.”

“Qualche mese fa ho notato che durante la notte spesso scomparivano le chiavi dell’ingresso principale dalla vetrina, per poi riapparire magicamente il giorno dopo. In genere la mattina seguente trovavo delle strane macchie rosse sul pavimento dell’atrio e dei corridoi, quindi sospettavo che qualcuno avesse trovato il modo di intrufolarsi all’interno dell’albergo. Una di quelle notti, un plenilunio, riuscii a seguire la traccia e con grande orrore scoprii che portava in camera di Cath al terzo piano! Con il cuore in mano aprii la porta, pronto a scagliarmi sull’intruso che stava minacciando la sua sicurezza. Ma quello che trovai una volta varcata la soglia era molto diverso da ciò che mi ero immaginato”.

“Catherine stava a quattro zampe sul pavimento della stanza. La schiena era arcuata in modo innaturale e i denti serravano con forza la carcassa di uno scoiattolo, ridotto a brandelli. Atterrito, mi sono avvicinato e ho provato a parlarle, ma in risposta lei mi è balzata addosso, provando ad azzannarmi alla gola. Fortunatamente sono più forte di quello che sembro e, nonostante lei fosse in preda a un furore disumano, sono riuscito a bloccarla e a stenderla sul letto. Pochi minuti dopo il sole è sorto e con le prime luci dell’alba se ne sono andati anche gli spasmi di follia di Cath”.

“Non avevo idea di cosa le stesse accadendo, ma ebbi un’idea. Cath mi aveva raccontato che sua madre, in punto di morte, le rivelò che il suo vero padre non è Fingall, bensì un uomo che vive a Londra, a Berwick Street. Trattandosi di un medico ho pensato che potesse aiutarla e, dopo alcune ricerche, ho scoperto il suo nome e gli ho spedito la lettera di cui vi ha già parlato il signor Murphy. Purtroppo non siamo riusciti a intervenire in tempo e stanotte, appena è comparsa la luna piena, Cath ha avuto uno dei suoi attacchi ed ha aggredito Angus nel bosco. Sono riuscito a coprire i rumori della sua ‘trasformazione’ mettendo a tutto volume lo stereo nella sua stanza al terzo piano ma non a fermarla e purtroppo ha fatto quello che ha fatto, fortunatamente senza conseguenze. Il resto è storia”.

“Ma qualcosa non torna!” esclama uno degli investigatori, “Angus sostiene di essere stato aggredito dal dottor Murphy! Come può essersi sbagliato?”.

“La spiegazione è semplice” esclama John, sfilando uno dei guanti dalla mano di Catherine e rivelando una vistosa cicatrice, “Catherine era affetta da polidattilia: è nata con un dito in più, esattamente come me, che le è stato asportato da piccola lasciandole una cicatrice simile alla mia. Immagino che quell’uomo, nell’oscurità del bosco e in preda al terrore, sia riuscito a scorgere solo il dettaglio della mano che lo stava aggredendo”.

“Beh, ora direi che non manca niente”, esclama il ragazzo magro, rivolgendosi direttamente a te, “ero leggermente fuori strada eh? Fortunatamente tu avevi capito tutto e grazie a il mistero è stato risolto! Cari colleghi, direi di andare tutti quanti in sala congressi e levare in altro i nostri calici in onore degli eroi di Huddleston!”


Questa avventura è finita, a quante domande sei riuscito a rispondere correttamente?

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