Quando mi risvegliai, mi ritrovai in un luogo talmente oscuro che pensai di stare ancora dormendo. Accasciato a terra, provai a guardarmi intorno in cerca di una luce, ma il mio occhio non trovava altro che buio. Dov’ero? E soprattutto, chi ero? Provai a sforzarmi di ricordare, ma il mio passato era anch’esso avvolto dalla tenebra. Alla mente affioravano solo sparuti ricordi, sfilacciati come sterpi di paglia di un canestro ancora da intrecciare. Le montagne della Beozia, i verdi prati, le pecore che pascolano in libertà sotto il cielo azzurro… Ero dunque un pastore? Mi sembrava di sì. Ma per quale motivo un umile pecoraio si trovava in un luogo tanto terribile?
Mi alzai in piedi. Nonostante non ricordassi niente, ero comunque certo di non aver mai visto un’oscurità tanto fitta in tutta la mia vita. Il manto che mi circondava era talmente denso da sembrare quasi palpabile e avevo l’impressione che mille pericoli si celassero dietro la nera coltre. Ma non potevo certamente rimanere fermo ad aspettare. Dunque mi incamminai, ignaro di dove stessi andando.
Non so per quanto tempo vagai nel buio più tetro. Mi sentivo come un’ombra costretta a errare per l’eternità, quando, a un tratto, urtai contro qualcosa di solido. Non riuscivo a vedere nulla e tastai la superficie per capire cosa fosse. Sembrava una specie di parete rocciosa, con alcuni ruvidi ciuffetti che al tatto ricordavano dei cespugli selvatici. Che fossi ancora tra i monti, disperso in una notte senza luna? Capii immediatamente che non era così. La parete prese vita e iniziò a muoversi, emettendo un frastuono tremendo che squarciò l’oscurità. In preda al terrore, mi voltai di scatto e iniziai a correre ma dopo pochi metri inciampai e caddi nel buio.
Stavo perdendo ogni speranza quando vidi avvicinarsi un alone luminoso. Alzai gli occhi. Di fronte a me c’era una bellissima fanciulla. La lunga tunica rossastra contrastava con la candida pelle, talmente splendente da irradiare luce. Tra le braccia aveva un grande libro verde, che stringeva al petto con la stessa premura con cui una madre tiene il suo pargolo, e mi fissava con uno sguardo severo e compassionevole al tempo stesso.
“Dolce fanciulla!”, esclamai, inginocchiandomi al suo cospetto, “se non sei una visione, ti prego, aiutami! Mi sono risvegliato in questo luogo oscuro e tenebroso, senza ricordi. A lungo ho vagato, in disperata ricerca di uno spiraglio di luce, ma tutto ciò che ho trovato è quell’enorme montagna animata!”.
“Non è una montagna”, rispose. La sua voce, benché tenera e melodiosa, vibrava di una sfumatura misteriosa che mi mise ancora più in soggezione. “L’oscurità non ti ha permesso di vedere oltre”, riprese, “e forse è meglio così. Ciò in cui ti sei imbattuto è il piede di un Gigante, imprigionato qui per l’eternità”.
Per poco non persi nuovamente i sensi. “Un Gigante, hai detto? Ma questo significa che sono…”.
“Nel Tartaro”, concluse lei, “il luogo più profondo e oscuro dell’Oltretomba”.
Senza riguardo per la mia dignità, mi appiattii ancora di più ai suoi piedi. “Se mi trovo qua, significa che ho commesso un terribile peccato e gli Dei mi hanno punito. Ma io non ho fatto niente, e anche se fossi colpevole non ricordo nulla! Non merito questa sorte! Ti supplico, aiutami!”.
“Sono qui per questo”, rispose la fanciulla, facendomi cenno di alzarmi. Leggermente rincuorato, obbedii. Dopodiché lei continuò. “Non ti è dato sapere perché ti trovi qui, non ancora, almeno. Ma, a differenza dei Titani e dei Giganti intrappolati qua dentro, il tuo destino non è ancora segnato. Gli Dei hanno tracciato per te un percorso differente, aspro e duro. Ma se riuscirai a portarlo a compimento, allora sarai salvo e potrai ricordare il tuo passato”.
“Grazie, grazie!”, esclamai. Volevo inginocchiarmi nuovamente, ma capii che non era il caso. “Almeno, posso sapere il tuo nome? Dimmelo, affinché io possa ringraziare la mia salvatrice come si deve e declamare preghiere in suo onore, una volta che sarò tornato nel regno dei vivi”.
“Anche questo, per il momento, non ti è dato saperlo”, mi apostrofò con voce severa, “e soprattutto non devi ringraziarmi. Sono qui per conto degli Dei, ed è a loro che devi rimettere il tuo destino, non a me. Adesso seguimi”, esclamò, girando le spalle, “per prima cosa, dobbiamo uscire dal Tartaro. Minosse, Eaco e Radamante, i tre giudici dell’Oltretomba, ti aspettano per metterti alla prova. Prepara cuore e mente: se fallirai, sarai condannato all’oblio”.
La fanciulla iniziò a camminare nell’oscurità, spazzando il buio con il suo lungo vestito. Cercando di farmi coraggio, le tenni dietro, e mi preparai ad affrontare la terribile sfida che gli Dei avevano preparato per me.