L’enigma degli Dei – Le dodici fatiche

Preceduto dalla mia guida, entrai nell’imponente palazzo, l’animo incerto e attanagliato dal dubbio. Dopo aver attraversato un lungo corridoio, le cui pareti erano costellate di statue, vasi, arazzi, e tanti altri ornamenti pregiati, arrivammo in un gigantesco androne, non meno sfavillante e lussuoso della stanza che ci eravamo appena lasciati alle spalle.

Esattamente al centro del magnificente salone era posizionato un trono dorato, sul quale era seduto un uomo. Avendo una corona poggiata sopra la testa capii subito che dovesse trattarsi di un re, ma il suo aspetto non ricordava assolutamente quello di un sovrano. Era basso, di corporatura gracile, e non aveva neanche l’aria fiera e degna di rispetto che in genere contraddistingue i monarchi, anche quelli meno prestanti. Era perfettamente immobile, con il mento poggiato sopra le mani conserte in atteggiamento pensieroso, e a guardarlo dava l’impressione che fosse rimasto pietrificato in quella posa per secoli interi. Soltanto quando ci vide sembrò rianimarsi e una ruga di sorpresa gli attraversò la fronte.

“Sei diverso da come ti ricordavo”, disse, dopo avermi squadrato per qualche istante, “che fine ha fatto il possente eroe, in grado di abbattere il mostro più terrificante con un solo colpo di clava? Di fronte a me, adesso, vedo soltanto un ragazzo gracile e smunto”.

“Colui che vedi non è la persona che ricordi”, intervenne la Pizia, prima che potessi replicare, “ma non per questo è meno degna di valore. Questo giovane ha superato tutte le prove a cui è stato sottoposto e gli Dei lo hanno mandato da te per continuare il suo percorso”.

Lo sguardo del sovrano si spostò verso la Sibilla. Socchiuse gli occhi e aprì leggermente la bocca, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. Sembrava concentrato e confuso al tempo stesso. Poi, si passò una mano sotto il mento e disse:

“Ah, sì, certo… anche perché l’altro ha già concluso i suoi compiti, se non ricordo male. Ha già esaudito tutte le richieste che io, re Euristeo, gli ho chiesto”.

Rimase in silenzio, come se stesse riflettendo sulla veridicità delle sue stesse parole.

“Beh, poco male!”, sentenziò infine, cancellando con un rapido gesto della mano i dubbi su cui stava rimuginando, “in fondo, due servi sono meglio di uno, anche se tu mi sembri decisamente poco affidabile. Ma so già cosa chiederti”.

Con un movimento incerto e faticoso, scese dal suo scranno e si diresse verso la parete posteriore, coperta interamente da un gigantesco drappo rosso. Una lunga corda di canapa pendeva al suo fianco ed Euristeo la tirò, facendo appello a tutta la forza contenuta nelle sue gracili braccia. La tenda si spostò leggermente di lato, rivelando un ampio spazio rettangolare incassato nel muro.

“Come vedi, questa parete è vuota”, disse Euristeo, indicando la grande cavità, “adesso non ricordo di preciso cosa ci fosse, ma so che era qualcosa di splendido, l’ornamento più bello di tutto il palazzo! Riportami tutti i pezzi che lo componevano, e la mia prova sarà superata”.

Poi mise una mano in avanti, in segno di avvertimento.

“Ma fai attenzione. Per riavere i frammenti che ti ho chiesto, dovrai affrontare dodici terribili prove. Le stesse prove con cui lui, prima di te, si cimentò”.

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